"L'allestimento di Santoro ha il pregio di ridare freschezza al capolavoro di Ionesco, restituendo originalità a questa storica grammatica teatrale. Il finale di Ionesco prevede che i due coniugi si gettino dalla finestra con l'oratore muto che scrive parole senza senso su una lavagna. Santoro, molto intelligentemente, lascia l'opera «aperta», senza soluzione di continuità, facendola ripartire «in loop» dalle battute iniziali mentre cala il sipario. Una soluzione felice per uno spettacolo riuscito sia per le scelte registiche sia per il taglio interpretativo a cui viene dato risalto col giusto ritmo, essenziale ed efficace fra umorismo grottesco e accenni di farsesca clownerie, con personaggi ben risolti, surreali e «senza età» e grazie all'ottima prova di Patrizia Schiavo e dello stesso Emanuele Santoro. Dalla moglie appassionata e «cocotte» Semiramide, al «Maresciallo d'alloggio» stralunato, visionario e un po' bambino. Platea convinta e meritati applausi. Un discorso registico e di rilettura teatrale esemplare."
Giorgio Thoeni, Azione, 4 febbraio 2015
"Emanuele Santoro ha voluto "alleggerire" la cupezza disperante di quel manifesto dell'assurdo che è Le Sedie, scritto da Ionesco nei primi anni '50, poco dopo l'epoca più buia conosciuta dall'Europa. Alla conclusione tragica, senza remissione, il regista (e interprete accanto a Patrizia Schiavo) sostituisce la condanna al ripetersi in eterno di una farsa, illusoria sì, ma in qualche modo consolatoria. Nella rivisitazione di Santoro l'atteso oratore dunque non arriverà neppure. La coppia di ultranovantenni è ridotta a due fantocci grotteschi che si muovono nell'intricarsi labirintico di fili a cui sono appesi dondolanti lampadine con paralumi: a loro, il regista-attore attribuisce il compito di sostituire il vorticoso moltiplicarsi di sedie, Ottima la recitazione, nelle tonalità e sfumature vocali, nella incisiva espressività gestuale."
Manuela Camponovo, Giornale del popolo, 7 febbraio 2015
Lo spettacolo
"Il mondo mi è incomprensibile. Aspetto che qualcuno me lo spieghi..." (Eugène Ionesco)
Ecco il punto di partenza. Le sedie rappresenta, sostanzialmente, l'umanità impegnata nel gioco assurdo dell'esistere. Un gioco che è una sorta di nulla che riempie la vita dei due protagonisti, così come nella nostra epoca ci sommerge un nulla di cui, sembra, non possiamo fare a meno. Le sedie, dunque, materializza il nulla, lo rende tangibile, concreto. Visibile al pubblico. Due vecchi, marito e moglie: la loro piccola realtà, le loro illusioni, la loro attesa, il loro delirio, il loro fallimento, la tragica farsa della loro esistenza fatta di insuccessi e rimpianti. Ma soprattutto un grande vuoto, la mancanza di interlocutori, l'impossibilità di comunicare. Ma comunicare che cosa? Niente; forse soltanto il proprio bisogno di comunicare. Unico sollievo, le illusioni scaturite dall'abitude che scandisce il tempo. Questi personaggi vivono non solo il crepuscolo della loro esistenza, ma quello della civiltà che li comprende. Non alieni, ma rappresentanti di un'umanità ormai deteriorata in modo irreversibile. Deteriorata anche, o soprattutto, dalla mancanza di comunicazione in un'era in cui la comunicazione ci sopraffà in tutte le forme e con tutti i mezzi. Ma una comunicazione che più ci bersaglia e più ci esclude. Più comunichiamo e meno diciamo, meno abbiamo da dire.
Regia
Emanuele Santoro
Con
Patrizia Schiavo
Emanuele Santoro
Scenografia, disegno luci,
colonna sonora
Emanuele Santoro